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Thursday, November 22, 2007

e' scomparso il grande coreografo maurice bejart

Una vita senza tempo
''Non sento lo scorrere del tempo, non dormo piu' di due ore consecutive e sono sempre concentrato sul futuro e su qualcosa da inventare'': cosi' Maurice Bejart si confessava undici anni fa a Trieste, un luogo dove e' stato spesso, attratto, diceva, dal vento e dal suo essere citta' di confine, un 'non luogo', quasi una metafora del viaggio.
Qui decise di rappresentare la prima mondiale di uno spettacolo in omaggio a Gianni Versace, ''Mutationx'', e la prima italiana della ''Via della Seta'', frutto di una profonda ricerca sulle civilta' orientali. E le sue parole, dopo la sua scomparsa, suonano quasi come un testamento spirituale.

''Per me il passato e' una grande valigia che contine tutto, senza un ordine fisso. Del passato mi restano un grande amore per l'evento, i ballerini, la gente che ha lavorato con me, e quando vedo i miei vecchi balletti e' come se li avesse fatti un caro amico, non mi ci riconosco''. E ancora: ''non ho il sentimento dell'unita' della persona, sento invece che siamo momenti, amori, influenze. Una volta sono stato Nietzsche, un'altra volta una certa ballerina che ha lavorato con me, o una persona che ho incontrato per strada. Credo che siamo degli istanti, come dei lampi fotografici''.

Bejart amava il moderno e odiava la moda: ''alla prima categoria appartengono appartengono forme eterne come quelle create da Rembrandt o Piero della Francesca, mentre la seconda e' schiava del tempo e ha vita breve. In quest' ottica - spiegava - lavora la mia scuola di danza, che e' aperta a esperienze classiche e moderne, ma non e' alla moda''. La scuola di Bejart ha formato danzatori anche per altre compagnie, come quella di Pina Bausch, dando un'impronta inconfondibile all'arte del ballo degli ultimi decenni.

''Non esiste, comunque, un concetto di qualita' assoluta per la danza -aggiungeva il maestro - la tecnica e' importante, ma in un balletto servono talenti diversi. Anche per questo mi piace lavorare in una compagnia internazionale''.

Uomo di grandissima cultura, alla domanda su cosa avesse contato di piu' nella sua formazione, Bejart rispondeva: ''ho avuto la fortuna di avere un padre filosofo, poi ho studiato un po' di musica e quindi danza classica, ma la vita, la gente, i paesaggi sono le cose piu' importanti. E anche i libri: io - concludeva - ne devo leggere almeno dieci a settimana''.

Il profeta della danza universale di Cristina Misischia

Il profeta della danza universale di Cristina Misischia


ROMA - "Detesto il balletto, gli orrendi tutù e la volgarità dei fondali di cartapesta. Non sono un coreografo, ma un uomo di spettacolo 'totale': amo scegliere i gesti e le parole, curare le scene, le musiche, gli effetti speciali e ogni dettaglio, attingendo a qualsiasi forma d'arte". Si presentava così Maurice Bejart, colui che di fatto é stato il coreografo più conosciuto e apprezzato d'Europa, l'artista che dopo Martha Graham e per primo nel Vecchio Continente è riuscito a stabilire nella danza un flusso ampio e continuo di comunicazione tra il quotidiano e l'immaginario, fra istanze popolari, sociali e politiche e un teatro intellettuale. Uomo delle contraddizioni eclatanti, dei grandi gesti e delle repentine inversioni di rotta, dopo 30 anni di successi aveva deciso nel giugno '92 di chiudere lo sfolgorante Ballet du XX Siecle ('Mudrà) del quale era stato fondatore e animatore al Teatre Royale de la Monnaie di Bruxelles, per fondare a 66 anni una nuova compagnia, il 'Rudra' Bejart Ballet di Losanna con 25 solisti fedelissimi, creando tutte coreografie ispirate al mondo cinematografico (Chaplin, Godard, Pasolini, Lang). Per lui che era marsigliese, Parigi che pure adorava (e dove aveva mosso i primi passi formando la compagnia dei 'Ballets de l'etoilé e dove sempre tornò per lavorare all'Opera) era troppo ministeriale e politicizzata.

"La mia vita - diceva - somiglia a quella di un nomade del deserto: sempre pronto a ripartire". Tratti aguzzi un po' da corsaro, un po' da diabolico guru, capelli corvini e occhi azzurrissimi, Bejart - che in realtà si chiamava Berger, il nome d'arte lo scelse in omaggio alla famiglia che lo adottò - era nato nel 1927 da un contadino e da una donna bella e attivissima. Cominciò con un teatro povero, ringhioso, sperimentale, contro la tradizione, il metodo di Serge Lifar (per anni padrone dell'Opera di Parigi) e le favole romantiche. E dopo aver spicconato con implacabile intento rivoluzionario la visione di corte 800esca del balletto e quella alto-borghese dei Diaghilev e dei Balanchine, diventò il profeta e il testimone dei fermenti in atto tra gli anni Sessanta e Settanta, scegliendo sempre, come diceva,"ciò che sta per nascere e che ha dentro di sé l'avvenire". Nel '59 mando' in scena una sua versione della "Sagra della primavera" che suscitò scandalo per la libertà e la crudezza del rito erotico collettivo che vi si compiva. E dopo 'L'uccello di fuocò in chiave guevarista, con 'Bolero', 'Cygnes', 'Bhakti', 'Les Vainqueurs' Bejart focalizzò l'attenzione sull'Oriente induista e buddista, poco prima che ci fosse il boom degli hyppie e dei figli dei fiori. Poi con 'Romeo e Giulietta' (1966) si fece interprete dei problemi dei giovani, inneggiando alla rivoluzione sessuale e alla pace.

Temi tutti aderenti all' attualità, come quelli cui si era dedicato negli ultimi tempi: l'antirazzismo, il rifiuto dell'industrializzazione, il problema del terzo mondo e della distruzione della terra (affrontato in '1789', per il bicentenario della rivoluzione francese). E se è vero che le sue innumerevoli creazioni - fino alla sua ultima dell'estate '94 ''King Lear- Prospero" - sono state spesso sovraccariche di simbologie e mitologie sofisticate e intricatissime, emerge sempre un'energia vitale contagiosa, espressa con un linguaggio a metà strada tra l'aspirazione al teatro totale di Wagner e di Artaud e l'astrazione più ascetica, tra grandi esplosioni barocche e la ricerca formale pura, tra sogno, utopia e ironia. Esteta esigente e severo, fu un padre-padrone per i suoi danzatori ("hanno bisogno di un padre come i figli: per l'amore e per la lotta"). Lo stile, diceva, "é metà intuito e metà attenzione e interiorità, impostati su una disciplina ferrea, sola base per raggiungere leggerezza e naturalezza". La sua idea della danza non era certo una questione di passi o 'tour en l'air', ma di ordine mentale e di cultura. Il suo danzatore ideale era un misto tra un pugile e un monaco, tra uno sportivo e un mistico, tra forza fisica concentrata e grazia estenuata, insomma i due sessi insieme. La sua ballerina preferita era Sylvie Guillem, (il "solo mostro sacro di oggi dalla capacità drammatica straordinaria"): per lei creò indimenticabili 'pas de deux' con Laurent Hilaire (splendido 'Episodes'). Era convinto che "ballare è una virtù del cervello, prima ancora che delle gambe".

Nelle civiltà e negli autori universali cercò sempre "ritmi, emozioni e gesti puri": da Shakespeare a Goethe, dal Petrarca a Moliere, da Baudelaire a Malraux e a Nietzsche, ma anche ispirandosi a Wagner, suo vate, a Stravinskij, Malher, Ravel, Schoenberg, Boulez che era suo intimo amico, diventando con disinvoltura giapponese con "Kabuki", iraniano con "Golestan", greco con "Thalassa", ebreo con "Dibbouk". Negli ultimi anni Bejart aveva abbandonato i bei corpi angelicati che avevano affollato le sue coreografie per 30 anni, lasciando i costumi firmati e i grandi cori danzanti che era riuscito a portare per primo persino negli stadi. E si era messo a fare ricerca con un pugno di danzatori.Nel marzo del '95 e' stato il primo ballerino e coreografo ammesso tra gli 'immortali' Accademici di Francia, dopo aver ricevuto anche il Premio Imperiale giapponese per la categoria teatro-film, già attribuiti a Bergman e a Fellini.

È morto il grande coreografo Béjart (il testo e' tratto da l'unita'.it)

È morto il grande coreografo Béjart


Il coreografo francese Maurice Béjart è morto a Losanna. Lo ha dichiarato all'Afp il Béjart Ballet di Losanna che l'artista dirigeva da 20 anni.
Nato a Marsiglia il 1 gennaio 1927, figlio del filosofo Gaston Berger, segue i corsi di danza parallelamente agli studi liceali e universitari. Affascinato da uno spettacolo di Serge Lifar, decide di consacrarsi completamente alla danza e fa il suo debutto artistico a 14 anni all'Opéra di Parigi, poi accanto a Roland Petit.

Nel 1951, crea il suo primo balletto, "L'Inconnu", a Stoccolma, poi mette a punto "L'uccello di fuoco" sulla musica di Igor Stravinski. Nel 1955, crea "Symphonie pour un homme seul" con la sua compagnia, i Ballets de l'Étoile (musica di Pierre Henry e Pierre Schaeffer), che gli valse gli onori della stampa e del pubblico. Nel 1960, dopo essere stato notato da Maurice Huisman, allora direttore del Théâtre royal de la Monnaie, fonda a Bruxelles il Ballet du XXe siècle con il quale percorre il mondo intero iniziando alla danza un vasto pubblico di neofiti. Nel 1987, al termine di un conflitto aperto con il direttore del teatro della La Monnaie Gerard Mortier, in piena tournée a Leningrado , Béjart decide di non tornare più in Belgio.

Poco tempo dopo, la Philip Morris International, con sede a Losanna, gli propone di stabilirsi in Svizzera. Béjart scioglie il Ballet du XXe siècle e fonda a Losanna una nuova compagnia, il Béjart Ballet Lausanne.

Sia per il "Ballet du XXe siècle" che a Losanna, Béjart accoglie danzatori di alto livello di qualsiasi nazionalità. Desideroso di dare nuovo vigore alla danza maschile, esige dai suoi interpreti una perfetta padronanza della danza accademica e una grande capacità di adattamento alle correnti neoclassiche. Fedele ad un'idea di spettacolo globale, mescola l'universo musicale, lirico, teatrale e coreografico mettendo in evidenza le qualità individuali dei solisti, esigendo allo stesso tempo il massimo dai movimenti d'insieme.

Le tematiche affrontate dal Béjart sono spesso universali ed egli non esita a mettere in scena i grandi problemi dell'attualità, come l'Aids o l'ecologia. Nel 1998 viene condannato per plagio: il suo spettacolo Le Presbytère contiene una scena copiata da La chute d'Icare del coreografo belga Frédéric Flamand.

Nel 1999 gli viene consegnato il Prix de Kyoto.

Diversi e profondi sono stati i rapporti tra Maurice Béjart e l'Italia, della quale diceva di amare i luoghi geografici ma ancor più quelli dell'anima, del mito e dell'arte. E volentieri accettava di portarci i suoi spettacoli, in particolare a Roma, nel bellissimo giardino di Villa Medici, sede dell'Accademia di Francia.

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